salire in alto per non esser travolti


seconda domenica di Quaresima
20 marzo 2011

In quel tempo, Gesù prese con sè Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
(dal Vangelo di Matteo 17,1-9)

C’è un immagine tra le tante trasmesse in questi giorni dal Giappone, che mi è rivenuta in mente, dopo aver letto questo passo del vangelo.
In un video amatoriale ripreso mentre la massa d’acqua dello tsunami invade improvvisamente le città  e villaggi sulla costa, si vede un gruppo di persone su un tetto di un edificio che in modo affannoso cercano di salire sul punto più alto, per sfuggire alle acque che crescono sempre di più, trascinando via tutto. Nel filmato si vede chiaramente come ci si aiuta reciprocamente, chi da sotto spinge in alto le persone, specialmente i più anziani e piccoli, e poi da sopra chi è già  arrivato aiuta gli altri a salire.
Sono immagini davvero drammatiche, che anche se viste comodamente seduti nel proprio salotto di casa dalla televisione, non possono non toccare il cuore.
Il Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima ci racconta di Gesù che porta su un monte alto tre dei suoi discepoli, e fa sperimentare loro qualcosa di straordinario, che loro stessi in un primo momento fanno fatica a capire. Come dice il racconto stesso di Matteo, i tre aspetteranno la morte e resurrezione di Gesù per raccontare quello che era accaduto prima, perchè solo alla luce di tutta la storia si potrà  capire quello che realmente è accaduto quella sera su quel monte.
Per capire bene il perchè di questa esperienza di trasfigurazione, bisogna vedere in quale contesto avviene. Gesù ha pian piano scoperto le sue carte e chiaramente la sua missione non si rivela nè facile e nè indolore.
Gesù parla di croce, e il contrasto attorno a lui e i suoi discepoli aumenta. L’angoscia e la paura salgono e sembrano davvero travolgere la fiducia in questo maestro e amico. Non tutto appare così sicuro e nulla è così scontato che possa riuscire.
E’ a questo punto che Gesù fa intravedere ai suoi discepoli la via di salvezza. Mostra loro che l’ultima parola non l’avrà  la violenza e il rifiuto. Il Maestro mostra ai suoi amici discepoli che non sono destinati al nulla e al fallimento, e che Lui fa parte di una storia di salvezza che ha radici antiche, in Mosè e nei profeti come Elia. E la voce di Dio Padre che dal cielo si fa sentire, annuncia in modo ancor più chiaro chi è questo Gesù, e che fidandosi di lui e della sua parola nulla è perduto!
A questi tre discepoli è fatto dono di vedere il punto più in alto del loro cammino, e sono chiamati a fidarsi. Pietro Giacomo e Giovanni sono, per un attimo, spinti in alto in modo da sperimentare la salvezza che viene alla fede. Loro compito è quello di non dimenticare e di far si che anche gli altri discepoli e tutti quelli che verranno dopo, non si sentano travolti dalle acque della paura e della violenza.
Tante volte la vita sembra davvero uno tsunami di violenza, dolore e insuccessi. Spesso ci sono vicende che sembrano portarci via tutto, lasciandoci senza nulla su cui stare sicuri.

    Fatti terribili come questi che capitano nel mondo, come ad esempio le catastrofi del Giappone e la guerra civile in Libia, ci fanno sentire uomini e donne fragili e quasi destinati alla fine di tutto, e Dio sembra davvero così lontano.
    Ecco che l’esperienza di questi tre discepoli ci viene riproposta come luce di speranza: non siamo destinati al nulla e alla sola sofferenza. Anzi, proprio di fronte alle acque terribili della vita, possiamo risalire anche noi il monte della trasfigurazione, e trovare nella fiducia in Cristo e nella sua parola, una salvezza più in alto.
    E in questo salire però non possiamo e non dobbiamo pensare solo a noi stessi. Se qualcuno forse un giorno con la sua testimonianza di fede ci ha fatto salire in alto, anche noi siamo chiamati a “tirare su” anche altri, che rischiamo di rimanere travolti. La fede è un dono di Dio, ma è anche un compito importante, che è quello di trasmetterla gli uni agli altri.


Giovanni don

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