dress-code per il discepolo

Così preoccupati su come apparire, in cerca del vestito che ci stia addosso perfettamente,  in un mondo che è fatto di segni esteriori di appartenenza che spesso dividono e contrappongono, Gesù propone un unico segno distintivo che dice chi siamo: l’amore. Amando come lui non abbiamo bisogno di tanti segni per dire che siamo cristiani

(DOMENICA 15 maggio 2022 V di Pasqua C)

 

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

(dal Vangelo di Giovanni 13,31-35)

 

COMMENTO

Oggi si sente spesso usare il termine inglese “dress-code” che sta ad indicare un modo di vestire ben definito da chiare regole e limiti richiesto in particolari occasioni o in determinati ambiti sia lavorativi che sociali.

La storia umana è ricca di divise, uniformi e distintivi, abiti tradizionali e modi di vestire e apparire che mostrano subito a quale gruppo, nazione, popolo, esercito, squadra sportiva, tradizione… ecc. appartiene colui che li indossa. A livello religioso questa ricerca di segni esteriori chiari e ben distinguibili è altrettanto ben presente, e così in tutte le tradizioni religiose ci sono vesti, distintivi e simboli vari che immediatamente richiamano una appartenenza ad una religione oppure ad un’altra, a quale livello di gerarchia uno si colloca o qual è il compito che svolge dentro il proprio gruppo religioso.

Questo lo vediamo benissimo anche tra noi cristiani, dove abbondano i segni che contraddistinguono il grado di religiosità e anche il ruolo che si ha nella comunità, e la scala gerarchica dei suoi ministri.

Gesù riguardo a tutto questo come si poneva? Che cosa ci possono dire i racconti del Vangelo?

Prima di tutto è chiaro che non sappiamo nulla del suo aspetto fisico e di come abitualmente vestiva, se non andando a quelle che erano le usanze dell’epoca, e facendo quindi delle ipotesi.

Gesù non ha lasciato nessuna indicazione su come dovessero essere vestiti i suoi discepoli per essere riconosciuti come tali, nessuna indicazione su una divisa particolare, nessun distintivo da portare al collo per una appartenenza al suo gruppo. Gesù e i discepoli erano ebrei, e gli ebrei per tradizione erano circoncisi, e quello era un segno fisico che indicava un legame forte con la propria religione, ma anche questo segno ben presto fu abbandonato dalle prime comunità cristiane quando esse si aprirono a tutti gli uomini di qualsiasi provenienza, oltre i confini territoriali e etnici del popolo di Israele.

Non c’è proprio nulla nei Vangeli riguardo il “dress-code” del vero discepolo?

Il breve passo di questa domenica si colloca all’interno dei discorsi dell’Ultima Cena. L’evangelista Giovanni dedica ben 5 dei 21 capitoli del suo vangelo a questo ultimo incontro del Maestro con i discepoli, un incontro che davvero si può considerare il suo testamento spirituale. Questo ultimo incontro durante la cena pasquale inizia (al capitolo 13) non con parole ma con un gesto dal profondissimo significato: Gesù lava i piedi dei suoi discepoli. Con un gesto il Signore riassume tutta la sua vita la quale fa da modello per la vita di chi si dice suo amico e discepolo.

Nei Vangeli su come fosse vestito Gesù ci sono pochissime indicazioni, e una è qui quando ci viene raccontato di come si cinge la vita con un asciugamano per lavare i piedi. Più avanti è raccontato che viene vestito con un mantello di porpora e una corona di spine, e infine praticamente nudo sulla croce. Ma è solo l’asciugamano alla vita il vestito che Gesù si sceglie per sé.

Ma è nelle parole che dice loro successivamente che troviamo a mio avviso il vero definitivo “dress-code” del discepolo secondo le indicazioni di Gesù: “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.

L’amore che si prendere cura dell’altro e la pace nelle relazioni tra fratelli, sono questi il segno distintivo che dice l’appartenenza alla comunità cristiana e l’essere discepoli di Gesù. Sono i miei gesti sullo stile di Gesù che mostrano nel modo più evidente chi sono come discepolo, e non certo una croce al collo o un vestito religioso particolarmente vistoso. Anzi, il mostrare, se non a volte ostentare, simboli religiosi con una vita priva di amore rischia di farci assomigliare più a Giuda, che come ci racconta il vangelo stesso, esce dal gruppo nella notte non solo esteriore ma soprattutto interiore.

Questa domenica Charles De Foucauld, vissuto tra il 1858 e il 1916, viene proclamato santo, cioè modello di fede per la Chiesa universale. Lui da soldato e profondamente antireligioso, si innamora del Vangelo e di Gesù, lasciando tutto e scegliendo di vivere la sua fede in mezzo ai Tuareg mussulmani nel deserto. Morì senza riuscire a formare quella comunità religiosa che sognava e non convertendo nessuno. Non raggiunse in vita nessun risultato straordinario in opere e conversioni, eppure proprio questo amore semplice e quotidiano per il Vangelo ha ispirato migliaia di persone nei decenni successivi e anche oggi.

Charles De Foucauld è stato chiamato anche il San Francesco del XX secolo, perché come il santo di Assisi si vestì solamente di Vangelo, facendo diventare le parole di Gesù il suo unico e irrinunciabile dress-code.

Giovanni don

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