Viviamo in un tempo che innalza barriere e cerca sicurezza contro tutto e tutti. Gesù, invece, ascolta e accoglie chi è escluso, abbattendo muri di paura e pregiudizio. La vera fede non isola, ma guarisce: solo l’amore senza limiti costruisce la Chiesa di cui il mondo ha bisogno.
(DOMENICA 12 ottobre 2025 – XXVIII anno C)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
(dal Vangelo di Luca 17,11-19)
I mezzi di comunicazione, da qualche tempo, ci martellano con la pubblicità di una nota marca che si occupa di sicurezza per la casa. Ovviamente, la campagna pubblicitaria è finalizzata non solo a farci conoscere i sistemi di sicurezza (telecamere, pronto intervento, sistemi di dissuasione dei ladri, ecc.), ma anche, in qualche modo, a creare il bisogno di acquistare quel sistema. Questo vale, naturalmente, per ogni campagna pubblicitaria di qualsiasi prodotto.
E così, chi vuole vendermi un sistema di sicurezza per la casa mi mette davanti tutti i rischi che corro se non lo installo e se non ci penso subito. Mentre scrivo, mi cade l’occhio anche sui sistemi di videosorveglianza che io stesso ho fatto installare da qualche anno, sia in canonica sia negli ambienti dell’oratorio. Il mio pensiero corre poi a ciò che tutti conosciamo in questo scorcio della storia dell’umanità, nel quale si parla sempre più di muri che si alzano, di arsenali bellici e di sistemi di sicurezza che aumentano, a fronte di un senso generale di insicurezza e del crescente bisogno di mettersi al sicuro.
È ciò che avveniva anche ai tempi di Gesù, a tutti i livelli, sia sociale che religioso. Davanti a un senso di pericolo e di insicurezza si alzavano barriere, anche religiose, che alla fine risultavano più terribili di quelle fisiche.
In un tempo in cui non esisteva la conoscenza medica attuale, la lebbra era considerata uno dei mali più temuti dalla società. Bastava un piccolo segno sulla pelle che facesse sospettare la malattia perché scattasse, per chi lo mostrava, una vera e propria espulsione dalla convivenza sociale. E per “alzare” ulteriormente la barriera di protezione, si accusava il malato, anche solo presunto, di essere impuro davanti a Dio e maledetto. Chi era affetto da lebbra era condannato alla povertà più assoluta, escluso dai centri abitati e inavvicinabile. Una situazione simile, in qualche modo, l’abbiamo vissuta negli anni ’80 del secolo scorso con la diffusione mondiale dell’AIDS, che condannava anche il solo sieropositivo allo stigma sociale, all’esclusione e alla condanna morale quasi senza appello.
Gesù si trova di fronte dieci lebbrosi che, rimanendo a distanza come prevedevano le regole religiose e sociali, gridano verso di lui. Gesù non è sordo a quel grido e supera la prima barriera di sicurezza alzata dalla società: li ascolta senza giudicare e senza emettere facili condanne. Già in questo ascolto troviamo un insegnamento per le nostre barriere di sicurezza, quelle che alziamo per difenderci da coloro che oggi percepiamo come inavvicinabili o pericolosi: chi la pensa diversamente da noi, chi è in conflitto con noi, persone di altre religioni, o che vivono scelte di vita e condizioni sociali lontane dalle nostre abitudini e convinzioni. Sono tanti i “lebbrosi” di oggi, sia a livello sociale sia personale.
Gesù ascolta il grido di aiuto, perché non vede il pericolo, ma il bisogno e l’ingiustizia del sistema di sicurezza del suo mondo religioso. La guarigione dei lebbrosi, chiamata nel testo “purificazione” proprio per l’idea di peccato legata alla malattia, avviene lungo il cammino verso il Tempio. La regola religiosa prevedeva infatti che fossero i sacerdoti ad ammettere o escludere. Gesù manda i lebbrosi dai sacerdoti per guarire anche loro e l’intera società da quella regola ingiusta, da quel sistema di sicurezza che, per paura, escludeva e condannava.
L’evangelista racconta che solo uno dei dieci torna indietro subito da Gesù. Lo fa per testimoniare la sua fede, per riconoscere il dono ricevuto e per affermare che ogni regola religiosa o sociale che separa le persone è ingiusta e da abbattere. Forse anche gli altri nove sono tornati in seguito, ma di fatto è proprio il samaritano — che oltre allo stigma della lebbra portava quello dell’essere straniero — a diventare, da guarito, anche guaritore, perché insegna una fede che abbatte barriere e distrugge consuetudini ingiuste.
Quante barriere alziamo per metterci al sicuro oggi, tra di noi, persino dentro la comunità cristiana? È questa la Chiesa che vogliamo costruire: una Chiesa che si preoccupa solo di difendersi dal mondo e dai cambiamenti?
La prima enciclica di papa Leone XIV, Dilexit te, sull’amore per i poveri, si conclude con parole profetiche per noi oggi, in un mondo e in una Chiesa così pieni di paure da alzare barriere e creare sempre nuovi sistemi di sicurezza sociali e personali. Scrive papa Leone:
“L’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società. Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla. Ebbene, una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno.” (Dilexit te, 120)
