Il 2 novembre, nella luce della risurrezione, ricordiamo i defunti e guardiamo alla promessa di Dio. Il Vangelo del Giudizio Universale ci ricorda che l’incontro con Lui avviene già ora: in ogni gesto d’amore verso chi è nel bisogno tocchiamo l’infinito che ci attende.
(DOMENICA 2 novembre 2025 – Commemorazione di tutti i defunti)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
(dal Vangelo di Matteo 25,31-46)
Una delle poesie più famose della letteratura italiana è “L’infinito” di Giacomo Leopardi. L’autore, ancora giovane, è su un punto elevato della sua città, Recanati, e davanti a sé ha un’alta siepe che gli impedisce in parte di vedere l’orizzonte.
Scritta nella prima metà del XIX secolo, ancora oggi è fonte di ispirazione per una meditazione sui limiti che incontriamo nella vita, compreso il limite per eccellenza che è la morte. Il nostro vescovo Domenico, nella sua lettera pastorale “Sul limite” per la Diocesi di Verona, parte proprio da questa famosa lirica per riflettere sull’esperienza umana del limite e su come possa diventare non un’esperienza che blocca la vita, ma che può rilanciare la vita e la fede.
Leopardi, che sente angoscia profonda di fronte al mistero dell’infinito che sta oltre quella siepe, assomiglia a ciascuno di noi quando si trova davanti alla siepe della morte e, se vogliamo in maniera molto concreta, davanti alla lapide di una persona cara che la morte ha posto in un aldilà infinitamente distaccato da noi, un aldilà che angoscia.
Il 2 novembre, che quest’anno cade proprio di domenica, nel giorno in cui celebriamo la resurrezione di Gesù, è davvero un’ottima occasione per riflettere sulla nostra fede davanti al limite della morte.
La pagina di Vangelo che ho scelto, tra le tre proposte dalla liturgia di questo giorno, è quella che viene chiamata del Giudizio Universale. Gesù non vuole darci un’immagine precisa di come sarà l’aldilà e in che modo avverrà questo giudizio finale da parte di Dio della storia, ma, come sempre, con le sue parole ricche di immagini vuole insegnarci il senso della nostra vita qui e ora.
Nell’elenco di situazioni descritte troviamo molte situazioni di limite che, se non ricevono aiuto, portano a superare il limite proprio della morte: fame, sete, nudità, malattia e persino essere profugo o in carcere. Sono tutte situazioni limite davanti alle quali spesso siamo portati a non fare nulla, pensando che non sia affare nostro o che sia impossibile fare qualcosa. Cosa posso fare io per la fame e la povertà nel mondo, per il problema delle migrazioni, per chi sta davvero male o sta pagando in carcere per i propri errori?
Gesù propone un punto di vista diverso, anzi propone di guardare non con gli occhi ma con il cuore oltre quel limite che ci blocca. Il punto di vista è quello dell’incontro con Dio proprio là dove pensavamo non ci fossero che problemi e limiti. Proprio in colui che ha fame e sete, in chi è povero e bisognoso, anche in chi ha sbagliato ma ha necessità di misericordia, proprio lì incontro Dio, con tutta la sua bellezza e ricchezza di amore.
“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Ecco il perché fare qualcosa di buono per il prossimo superando indifferenza, paura ed egoismo: nell’assistere chi ha bisogno incontro Dio stesso, che sta “dietro la siepe” del bisogno dell’altro. Nel gesto anche piccolo di carità incontro l’infinito di Dio. Magari non me ne accorgo subito e non sempre è facile fare qualcosa, ma Dio è sempre lì dove c’è un gesto d’amore.
L’immagine del Giudizio Universale del Vangelo ci ricorda proprio questo: quando saliremo in cielo, al cospetto di Dio, dentro l’infinito del suo amore, ci accorgeremo che quell’infinito lo avevamo, almeno in parte, già sperimentato nei gesti di amore che abbiamo fatto e anche che abbiamo ricevuto.
Già fin da ora possiamo intuire cosa ci aspetta nell’aldilà, oltre la siepe della vita: l’infinito amore di Dio.
