L’Eucaristia ci permette di rendere presente Gesù vivo oggi dentro la comunità cristiana. Attraverso la condivisione del pane e della vita, possiamo come cristiani diventare icone viventi di Cristo, nutrendo la fame di pace, amore e fratellanza del mondo.
(DOMENICA 22 giugno 2025 – Corpus Domini)
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
(dal Vangelo di Luca 9,11-17)
Tutta l’arte sacra cristiana ha lo scopo di richiamare alla mente e al cuore l’evento o il personaggio che rappresenta. Questo è particolarmente vero per le icone, chiamate anche il “Vangelo dei poveri” e strumento di una evangelizzazione fatto più di immagini che di parole. L’arte delle icone sacre è molto cara alla tradizione orientale del Cristianesimo. Non è solo una descrizione riassuntiva di un evento della storia sacra, di un personaggio biblico o di un santo, ma molto di più. L’icona, proprio per il suo stile particolarissimo e riconoscibile rimasto sostanzialmente immutato lungo i secoli, per i cristiani delle chiese orientali è parte della liturgia, è una preghiera sensibile, fatta di immagini che, in qualche modo, “rendono visibile l’invisibile”.
Nei racconti dei Vangeli, Gesù si presenta come “icona” di Dio Padre. Essendo Figlio di Dio, in questo “essere figlio” egli porta nella dimensione storica e umana il volto di Dio che nessuno ha mai visto. Gesù rende visibile Dio invisibile. I gesti, le parole, gli atteggiamenti e le scelte di vita dell’uomo Gesù rimandano a Dio. È anche questo che in qualche modo “scandalizzò” i religiosi del suo tempo, i quali non potevano concepire che Dio si manifestasse in questo figlio di falegname dalla Galilea, limitato e mortale come tutti gli uomini. Eppure, è proprio questa la straordinaria novità della rivelazione evangelica, la buona notizia che Dio “si fa vedere e toccare” ed è al nostro stesso livello.
Ma se questa è stata l’esperienza di quei pochi che conobbero Gesù duemila anni fa, cosa succede per tutti coloro che sono venuti dopo, compresi noi oggi? Noi non abbiamo l’uomo Gesù, non ascoltiamo la sua voce e non vediamo i suoi gesti. Come possiamo vederlo e toccarlo in modo da fare anche noi esperienza di Dio in terra, della bellezza dell’Eterno all’interno della nostra piccola e limitata storia?
I primi cristiani compresero che Gesù stesso aveva lasciato un'”icona” di sé, affinché in quel segno visibile e materiale si potesse non solo comprendere con la razionalità ma anche sperimentare con i sensi e i sentimenti tutta la sua persona e la sua storia. È qui che risiede il senso del gesto dello spezzare il pane e mangiarlo insieme, e del condividere un unico calice di vino, che è il cuore dell’Eucaristia domenicale. “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue… fate questo in memoria di me.” Nei gesti dell’Ultima Cena, che i cristiani ripetono da duemila anni, c’è tutta la storia di Gesù e l’invito a ripeterla.
L’Eucaristia, celebrata con i gesti del pane e del vino, con l’assemblea di fratelli e sorelle che si radunano insieme, e con le preghiere e i canti che uniscono, è davvero la migliore icona di Gesù, che non solo lo racconta come personaggio del passato ma lo rende realmente presente.
Per ricordarci questo oggi, solennità del Corpus Domini, la Chiesa ha scelto come brano del Vangelo il prodigio dei pani e dei pesci. L’evangelista Luca riprende il ricordo di un prodigio di Gesù, ma lo narra in modo che diventi un aiuto per comprendere il significato della celebrazione domenicale che la sua comunità faceva, e che anche noi oggi facciamo.
La Messa domenicale è un momento in cui ci raduniamo per nutrirci delle parole di Gesù, ma anche per sperimentare che siamo chiamati a stare insieme, a prenderci cura gli uni degli altri, della nostra fame di amore, pace e fratellanza. Abbiamo fame di Dio, anche se spesso ci sembra che questo “pane” manchi. Ed ecco che il miracolo si ripete ogni volta che stiamo insieme: quando quel poco che abbiamo (come i cinque pani e i due pesci), personalmente e come comunità, se lo condividiamo, alla fine basta per tutti.
“Date voi stessi da mangiare”, dice Gesù ai suoi discepoli tentati dal “ognuno pensi a sé stesso”. C’è un sottile gioco di parole in questa frase: “date voi stessi…” significa che devono occuparsi loro del cibo per tutti, ma anche che questo cibo è la loro stessa vita donata. Come Gesù ha dato la sua vita come un pane che nutre il cuore, così anche oggi, se impariamo a dare noi stessi al prossimo, nessuno morirà di fame, neanche nel peggior deserto della Storia.
Ecco l’icona perfetta di Gesù: la comunità che si raduna e celebra con il pane e il vino, e poi la stessa comunità che, finita la celebrazione, vive come Gesù e rende il suo corpo visibile e toccabile ancora oggi. Celebrando l’Eucarestia diventiamo noi stessi “icone viventi” di Gesù oggi.
Giovanni don