vuoti (in)colmabili?

Gesù, nella parabola del ricco e di Lazzaro, non vuole descrivere l’aldilà ma richiamarci a non vivere nell’indifferenza. Il vero inferno è l’abisso tra chi ha e chi soffre: colmarlo con carità, ascolto e solidarietà ci fa già gustare un anticipo di paradiso nella nostra vita e nel mondo.
(Domenica 28 settembre 2025 – XXVI anno C)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
(dal Vangelo di Luca 16,19-31)

 

In tante chiese troviamo nei quadri e negli affreschi la rappresentazione del paradiso e dell’inferno. Gli artisti, su commissione della Chiesa, cercavano di raccontare cosa succede dopo la morte e la possibile doppia destinazione eterna, usando elementi riconoscibili per indicare il luogo nel quale saremmo inviati. Così, il paradiso (con anche l’anticamera del purgatorio) viene immaginato in alto, tra le nuvole, luminoso e felice; l’inferno, invece, è raffigurato come un luogo in basso, oscuro e abitato da fiamme eterne.

Ovviamente non abbiamo alcuna immagine reale né idea precisa di come e dove saranno paradiso e inferno. Ci sono racconti di visioni di santi, ma non fanno che riproporre elementi tradizionali, provenienti dalle culture antiche e dalla visione religiosa ebraica. Anche Gesù, nella parabola del ricco e di Lazzaro, usa questo linguaggio. Dopo aver descritto brevemente la loro vita, il racconto narra la morte dei due e la diversa destinazione: Lazzaro accanto a Dio, finalmente felice dopo una vita di privazioni, e il ricco negli inferi, tra fiamme che lo tormentano. Tra i due luoghi, Gesù descrive una separazione definitiva e incolmabile.

Ma perché il ricco finisce all’inferno? Quali colpe così gravi lo condannano? E perché Lazzaro va in paradiso? Che cosa ha fatto di così meritevole? Siamo d’accordo con questo giudizio, o sentiamo che qualcosa non torna nel racconto di Gesù?

La domanda vera è: cosa vuole insegnarci Gesù con questo racconto così forte? Non intende parlare dell’aldilà come se ci desse uno “spoiler” sulla condizione futura. Se fosse così, anche tralasciando le fiamme, sarebbe proprio il criterio di destinazione a lasciare perplessi. Il ricco non viene presentato come disonesto o malvagio, ma semplicemente come uno che ha vissuto del suo. E Lazzaro non è detto che sia stato virtuoso: poteva essere diventato povero anche per colpa sua, comportandosi da “lazzarone”. Il Vangelo non vuole spaventare con minacce di tormenti, altrimenti non sarebbe “buona notizia”, ma “religione della paura”.

La vera questione è la distanza incolmabile tra il ricco e Lazzaro. In vita erano vicini, ma lontanissimi, senza possibilità di incontro. Il racconto non condanna la ricchezza né esalta la miseria: richiama piuttosto a non creare abissi di indifferenza. Il vero dramma è il ricco che non si accorge del povero alla sua porta. L’immagine delle fiamme rovescia la situazione per mostrarci cosa accade quando ignoriamo gli altri: presi dalle nostre cose, diventiamo ciechi ai bisogni di chi soffre. E chi soffre non sempre “merita” aiuto: spesso porta colpe che non conosciamo. Ma resta comunque nel bisogno, e l’indifferenza non fa che aumentare la sua sofferenza e, in fondo, anche la nostra. L’egoismo inaridisce il cuore e lo rende vuoto.

Non sappiamo come sarà l’inferno o il paradiso dopo la morte, ma possiamo già intravederli nelle guerre, nelle ingiustizie e nelle solitudini che segnano la vita. Gesù non presenta Dio come un giudice terribile che condanna arbitrariamente: ci scuote piuttosto a colmare con carità, ascolto e perdono i vuoti infernali che separano le nostre vite.

Mi viene da fare un esempio molto schierato, ne sono convinto, ma sento che può attualizzare per comprendere il messaggio del Vangelo. La Global Sumud Flottilla, composta da imbarcazioni cariche di aiuti, testimonia che non è possibile rimanere indifferenti davanti all’inferno dei tanti Lazzari che sono a Gaza, ai piedi della mensa delle nostre ricche nazioni europee. Qualcosa va fatto perché non resti un vuoto incolmabile creato dalla guerra.

Questo è solo un esempio, ma sta a ciascuno di noi trovare il modo perché nessun Lazzaro, anche se “lazzarone”, rimanga lontano dal nostro sguardo e dal nostro aiuto concreto. Nella solidarietà vera e concreta avremo già un’anticipazione non dell’inferno, ma del paradiso.

 

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